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PAUL, MICK E GLI ALTRI
(THE NAVIGATORS)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 19 settembre 2002
 
di Ken Loach, con Joe Duttine, Tom Craig, Venne Tracey (Gran Bretagna, 2001)
 
Sheffield, 1995: le conseguenze della privatizzazione fra gli operai della manutenzione ferroviaria inglese. Un gruppo di loro dovrà prendere la decisione: accettare le dimissioni ricevendo una buonuscita, oppure continuare a lavorare per la nuova azienda. Finiranno per piegarsi alle regole di "flessibilità" dei nuovi venuti, con risultanti devastanti: fine delle garanzie acquisite nel tempo, scomparsa dei principi di solidarietà, regole di sicurezza drammaticamente allentate, intolleranza con i colleghi, confronti a muso duro con coloro che erano gli amici di un tempo. Tutto ciò, mentre il degrado professionale, la fine del mestiere si stempera progressivamente sulla qualità della vita privata.

Dalla realtà effettivamente vissuta (lo smantellamento della British Rail, conseguenza del tatcherismo, ad opera del governo di John Majors) all'invenzione della finzione; il tutto, su un tono inconfondibilmente tragicomico. E' quello sociale, verista di Ken Loach: unico al mondo, malgrado tutta la ripetitività del suo cinema (fortunatamente) di sempre. La disoccupazione, le contraddizioni che inevitabilmente "profittano al profitto" e, progressivamente, annullano la dignità dell'individuo; la logica di un sistema che finisce per condurlo, inesorabilmente, ai piedi del muro.

"Cos'é uno scacco matto?" - spiega il vecchio operaio disoccupato, giocando agli scacchi in solitario - "è quando hai perso, qualunque mossa tu faccia". Una formula che sembra riassumere la logica di tutta la poetica del regista, la costruzione delle sue sceneggiature, la disperata ribellione dei suoi discorsi che, fortunatamente, finisce per diluirsi in rabbia, prima che in un sottile umorismo. E nella felicità della incomparabile naturalezza dei suoi attori.

Un Loach minore, quello di THE NAVIGATORS, come disse qualcuno un anno fa a Venezia ? Scherziamo, con tutto ciò che circola? Un Loach asciutto, conciso, incollato ai fatti e totalemente immerso -come raramente avviene nell'universo tutto in rosa del cinema- nel mondo del lavoro.

Un film che ha il pregio dei limiti che si è dato; parlare di tutti e di nessuno, del coro e non di coloro che lo compongono. Per meglio concentrarsi su quelle problematiche collettive che l'individuo, comunque, finiscono non solo per condizionare, ma per divorare.


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